venerdì 27 giugno 2008

Yasukuni (1)

Finalmente l'ho visto. Credevo che non ce l'avrei mai fatta e invece, come spesso succede in questi casi, dietro al ringhio rabbioso da Rottweiler della censura si nascondeva un chihuahua. Mi riferisco naturalmente a Yasukuni (2007), il documentario del cinese Li Ying che ha recentemente suscitato un mare di polemiche in Giappone e a un certo punto ha rischiato addirittura di non essere proiettato in questo paese.



Yasukuni Jinja non e' solo uno dei templi shintoisti piu' famosi in questo paese ma anche e soprattutto il luogo in cui sono venerate le anime dei soldati nipponici caduti in guerra. Il problema e' che a causa di una serie di questioni che non sono state ancora completamente risolte (da una parte i nazionalisti giapponesi accusano il governo di non onorare abbastanza la memoria dei soldati; dall'altra Cina, Corea e altri paesi asiatici dicono che il Giappone non ha mai veramente chiesto scusa per gli ingenti danni di guerra) il tempio rimane a tutt'oggi un luogo altamente controverso. A cio' bisogna aggiungere che a Yasukuni vengono onorati fra gli altri 14 criminali di guerra - un fatto, questo, a causa del quale l'imperatore avrebbe smesso di visitare il tempio nel 1978.

Il regista cinese, che vive in Giappone da 18 anni, ha cominciato le sue riprese nel 1997 e, approfittando del disinteresse generale, e' riuscito ha ottenere finanziamenti e aiuti vari non solo dalla Corea e dalla Cina ma anche 7,5 milioni di yen dal Consiglio Giapponese per le Arti, che dipende dall'Ufficio per gli Affari Culturali. Tutto sembrava procedere per il meglio (il film e' stato pure premiato ad un festival in Corea) quando il Partito Liberal Democratico (la versione giapponese della nostra Democrazia Cristiana, al governo praticamente ininterrottamente dal 1946) e le forze di destra si sono finalmente "accorti" dell'esistenza del documentario. Apriti cielo! Il 12 marzo un gruppo di parlamentari guidati da Tomomi Inada del PLD ha voluto assistere a una proiezione speciale del film prima che uscisse nelle sale - cosa gia' di per se' straordinaria - dopo di che hanno espresso un parere sostanzialmente negativo che suonava come una vera e propria censura. Il successivo 19 aprile, poi, 150 parlamentari ultraconservatori hanno visto a loro volta il documentario e hanno chiesto alle autorita' di bandirne la commercializzazione.



Queste dichiarazioni mostrano come in Giappone sia ancora difficile intavolare un dibattito politico libero e aperto, soprattutto quando si osa criticare la patria, l'imperatore o il PLD. In questo caso, poi, due cose in particolare saltano all'attenzione: innanzitutto l'elemento razzista delle critiche: molti esponenti conservatori hanno dichiarato che un cinese non aveva nessun diritto di ficcare il naso negli affari interni del paese, soprattutto se il suo intento era quello di fare un film "anti-giapponese". Questo sebbene il film sia stato prodotto da una troupe in buona parte giapponese. In secondo luogo il centrodestra crede che il governo possa finanziare solo quelle opere che non mettono in discussione l'ideologia ufficiale, alla faccia del pluralismo democratico.


Il problema in tutto cio' e' che in effetti diversi cinema hanno deciso di non proiettare il documentario - per paura di attacchi e azioni di picchettaggio da parte dell'ultra destra. Fortunatamente alcuni coraggiosi non hanno ceduto alle minacce, e cosi anch'io sono riuscito a vedere il film in un piccolo cinema di Shibuya.



Fuori dal teatro c'era un furgone blindato della polizia, con un agente che piantonava l'entrata. Dentro c'erano altri tre membri della sicurezza, di cui due per tutto il tempo sono stati seduti ai lati dello schermo, per evitare che qualcuno cercasse di squarciarlo a coltellate - come e' accaduto in un'altra occasione. La sala ovviamente era stracolma - perche' poi e' questo l'effetto che si ottiene ad abbaiare troppo forte: si finisce con il fare pubblicita' gratuita' a cio' che si vorrebbe censurare.


Il film in se' ha i suoi difetti ma nel complesso e' molto interessante. La prima cosa che si nota e' che in fin dei conti la destra aveva ragione a preoccuparsi: si tratta infatti di un documentario fatto nel modo giusto, vale a dire con un approccio altamente soggettivo. Il regista parte da un presupposto molto chiaro e conduce le interviste - soprattutto quelle al maestro che produce le spade speciali per il tempio e che fa da filo conduttore alla vicenda - con lo scopo di ottenere cio' che vuole. Si potrebbe parlare di manipolazione, anche se in realta' le immagini parlano spesso da sole, senza che il regista debba sforzarsi troppo a far prevalere il suo punto di vista.

Se il film arrivera' anche in Italia, vi consiglio caldamente di guardarlo.

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